La Democrazia Cristiana si ripresenta agli elettori nelle elezioni politiche del 2022 con il nuovo simbolo del Drappo Crociato, aggiornando i suoi pilastri programmatici.
Essi sono quelli dell’Appello ai Liberi e Forti di Luigi Sturzo, delle Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana, del Codice di Camaldoli.
Ma anche tutta la forza dell’azione politica e programmatica del partito che ha governato l’Italia per mezzo secolo.
Ci si riferisce, per esempio, al Convegno culturale di Lucca ed all’Assemblea di Assago, ancora oggi attuale nei temi e nel metodo di risoluzione dei problemi.
Forti di un glorioso passato, la Dc intende riproporsi con un programma centrato sulle questioni attuali, che affondano le radici in un patrimonio politico e culturale che parte dal 1919 e, attraversando tutto il Secolo breve, giunge ai giorni nostri.
La Dc non propone un programma basato su piccole vicende emotive, specchio di una società – come avrebbe detto qualche anno fa Giuseppe De Rita – smarrita, ma ribadendo l’importanza delle scelte forti e pregnanti.
Quelle che l’hanno accompagnata nei cinquant’anni del governo del Paese con risultati di crescita e di coesione che oggi ci sogniamo.
Quando c’era la Dc, conosciuta fino al 1994, di cui questa Dc che si presenta al cospetto degli elettori è la continuazione storica diretta, non vi era ancora la Globalizzazione.
Il mondo era diviso in due blocchi e la Cina viveva nel proprio isolamento pauperistico e maoista. I Brics non esistevano, ma neppure lo stacco tra Terzo e Quarto Mondo (quello che ci preoccupa per il flusso di immigrati con cui ci costringe a fare i conti) era così accentuato. Il mondo arabo era più remissivo, ancora condizionato dall’esito della guerra dei sei giorni.
Da un lato ricchi sempre più ricchi, a cui si agganciano new entry, dall’altro poveri sempre più poveri.
Rispetto ad allora, la finanziarizzazione mondiale ha omologato metodi ed interessi.
In Occidente è cresciuto anche un pensiero unico, che chiamiamo mainstream e che si propone di sostituire i valori cristiani con quelli radicali ed edonisti.
L’Europa non possiede più quella spinta ideale e profetica dei fondatori: Adenauer, Schuman e De Gasperi (tutti democristiani), ma anche laici federalisti come Altiero Spinelli.
L’ultimo sprazzo di propositività appartiene alla Commissione Juncker, democristiano lussemburghese.
Dopo la Dc il diluvio!
No. Anche perchè c’è ancora un Dc, nuova.
Nuova anche nel simbolo.
Dopo anni di diatribe sull’uso e sulle contese sul contrassegno, la Dc nuova afferma che, pur appartenendole lo storico scudo-crociato, essendo tutti usurpatori – secondo sentenza – quanti l’hanno succeduta senza averne titolo, dal Ppi, al Cdu-Ccd, all’Udc, senza parlare delle Dc più o meno attendibili sorte attorno ad esperienze effimere e solipsistiche, essa si presenta col simbolo del drappo crociato con scritta Democrazia Cristiana e l’acronimo Dc.
Si propone di fronte ad un mondo mutato, di cui abbiamo descritto lapidariamente i tratti.
Del resto è il mondo che viviamo tutti insieme (o melanconicamente separati) tutti i giorni.
Il mondo della terza guerra mondiale, per ora, combattuta a pezzi.
Il mondo della crisi ambientale.
Il mondo dell’intelligenza artificiale, che può rappresentare un’opportunità od un’altra catastrofe.
Per l’ennesima volta ci troviamo di fronte a scelte tra bene e male, positivo e negativo, crescita o distruzione.
In questo contesto la visione dell’uomo rappresentata dalla Democrazia Cristiana rappresenta un ancoraggio ancora oggi, anzi oggi più che mai, visto le insidie cui andiamo incontro.
Nello spirito di La Pira occorre riprendere quella vocazione alla pace mondiale che sembra sepolta.
Eppure mai come ora la proliferazione nucleare, perdipiù in mano a paesi retti da dittature irresponsabili, dovrebbe indurre i fautori della democrazia a ricercare canali di dialogo e di convivenza, oltrechè sulla base di un’esportazione della democrazia non strumentale, dal sapore neo-colonialista.
E’ il progetto da sempre delle democrazie cristiane europee e sudamericane.
L’Europa potrebbe rappresentare un faro in un contesto piuttosto buio.
Va rilanciata.
Sulla base della coesione e non del mercantilismo.
Una coesione basata sui valori, ancorchè coniugati in maniera aperta e non integrista, costituirebbe un fattore di aggregazione e di attrazione per i popoli europei e per quelli ai confini dell’Antico Continente.
L’economia di un capitalismo anonimo ed irrispettoso dell’ambiente e dei deboli non riesce a fornire le prospettive ottimistiche del secondo dopoguerra.
Tuttavia è la pace a fornire il miglior viatico per una crescita rispettosa dell’ambiente e degli uomini.
Questo scenario rende difficile un programma domestico.
Il rischio è che si incrementi lo scollamento tra politica e cittadini promettendo risultati irraggiungibili a livello meramente nazionale.
L’Italia è inserita in un contesto planetario in continua evoluzione, ma anche in una comunità sovranazionale come quella europea e difensiva come la Nato.
La Dc conferma l’adesione a questi due pilastri.
Ritiene che il nostro Paese debba giocare tutto il suo ruolo, però, per migliorare alcune storture che rendono gli europei lontani dalle comuni istituzioni comunitarie.
Non ci vuole più sovranità nazionale, ma una maggiore vicinanza dell’Europa ai suoi cittadini, dando più spazio alla politica che alla burocrazia.
Questo vale anche in campo domestico.
Meno burocrazia, diminuzione della pressione fiscale e dei mille balzelli che attanagliano soprattutto chi crea ricchezza e lavoro sono punti irrinunciabili per questo nuovo corso della Dc.
Dall’altro si richiede ai cittadini una maggiore consapevolezza nel ripagare uno Stato meno invadente con un’assunzione più ampia di responsabilità, nei comportamenti individuali e collettivi.
L’aumento dell’occupazione resta centrale negli obiettivi del Partito.
Se l’Italia è l’area prediletta per le piccole e medie imprese, nel segno della migliore Dc di personaggi come Enrico Mattei, non si può abbandonare l’aspirazione ad avere grandi corporation sul nostro territorio, che offrono posti di lavoro qualificati e presidiano settori strategici come quello energetico, oltre che a garantire commesse prolungate nel tempo alle imprese minori.
La famiglia è sempre stata centrale nei programmi della Democrazia Cristiana.
Essa va sostenute in termini economici, ma creando anche una cultura della vita e della proiezione verso il futuro sempre più relegate ad un fattore marginale quando, invece, sono una ragione fondamentale per la sopravvivenza stessa della comunità nazionale.
Il fenomeno immigratorio non va demonizzato e strumentalizzato, ma gestito con maggiore rigore e secondo un equilibrio che è mancato in questi decenni.
Esso non è sempre legato alla questione sicurezza, ma, certo, lo stato di clandestinità e di precarietà di troppi immigrati non possono che produrre episodi che potevano e dovevano essere evitati.
La Democrazia Cristiana fonda il suo programma ed il suo orizzonte sul Magistero sociale della Chiesa, sulle encicliche dei Papi che hanno saputo superare l’usura del tempo proponendo principi proclamati magari 150 anni fa ma tuttora validi o che stanno affrontando i temi di assoluta attualità come la Laudato Sì di Francesco, vero punto di riferimento per le politiche sociali ed ambientali.
Mi ritrovo completamente nel programma di Mauro Carmagnola .Avanti così ^