Sì è svolto a Torino lo scorso 10 giugno un interessante convegno a cura dell’Ufficio Regionale della Pastorale Sociale e del Lavoro dal titolo “Suolo: bene comune o bene di consumo ?”
Tra le interessanti posizioni scientifiche ed etiche circolati nella mattinata spicca come innovativa l’attenzione al tema economico e fiscale che, se trascurato, rischia di affossare sul nascere i tentativi di cambio di rotta
La nostra generazione è figlia della legge 10 del 1977, conosciuta anche come Legge Bucalossi.
Le novità di questo provvedimento furono da una lato la separazione dello ius aedificandi dalla proprietà dei suoli, dall’altro l’introduzione di un sistema di imposizione (o di tassazione, se preferite) che trasferiva l’onere dell’assetto urbanistico al richiedente attraverso oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e della determinazione di un esborso conosciuto come “costo di costruzione”, da impiegarsi per investimenti in conto capitale.
A distanza di 46 anni dalla promulgazione ci permettiamo di far notare l’urgenza di un “tagliando” ad una legge che appare sempre meno adeguata ai tempi .
Oggi la spesa in conto capitale dei Comuni viene finanziata attraverso il ricorso a prestiti di enti territoriali sovraordinati ( Stato e Regioni) oppure da organismi sovranazionale (Piani Europei ) così che l’impiego in conto capitale degli oneri viene sempre meno canalizzato verso la costruzione di infrastrutture e sempre più al rimborso di debiti per interessi e capitale, ove non venga più o meno surrettiziamente dirottato sulla copertura della spesa corrente.
In più alla fine degli anni ’70 la tassazione degli immobili era molto leggera e l’IMU era ancora al di là da venire. Oggi l’imposta più odiata dagli italiani incide tutta destinata a finanziare la spesa corrente incide pesantemente sulla redditività degli uomini, smentendo l’adagio dei nostri vecchi secondo cui gli immobili non mangiano e non bevono .
In questo quadro viene da chiedersi quale utilità avrebbe il proprietario di un’area edificabile a mantenerla a prato, senza monetizzarne il valore attraverso l’utilizzo edificatorio ; analogamente ci chiediamo quale interesse avrebbe il Comune di appartenenza a non agevolare un intervento che moltiplica gli oneri di urbanizzazione.
La verità è che la legge di cui invochiamo un robusto “tagliando” porta seco una visione del mondo il cui progresso passa attraverso la continua edificazione ; per dirla con De Gregori, il futuro è una palla di cannone accesa e noi lo stiamo quasi raggiungendo. Ma si trattava del Titanic.
La recente riforma della Costituzione con l’introduzione dell’attenzione all’ambiente e all’ecosistema rende praticabile l’introduzione del concetto di ius inaedificandi che, anche se si tratta di un neologismo non proprio ciceroniano rende l’idea di un diritto a scegliere l’inedificazione senza penalizzazione.
Si può pensare allora ad una convenzione tra Comune e proprietario dell’area , avente efficacia reale per effetto della trascrizione nei registri immobiliari, per cui il proprietario medesimo si impegna a mantenerla libera da edificazioni e da coperture del sedime per un tempo determinato in cambio della tassazione a fini IMU con i valori e le aliquote del terreno agricolo.
La durata della convenzione, si può ipotizzare per un minimo di cinque anni , al fine di evitare manovre elusive, ed un massimo di dieci , peraltro rinnovabili, al fine di evitare di ingessare l’uso della risorsa a dispetto di eventuali mutamenti del paesaggio urbanizzato.
Sempre in tema di incentivazione al recupero del suolo, i tempi e le fattispecie sono maturi per prevedere l’incentivazione al ripristino della permeabilità dei suoli attraverso l’istituzione di crediti di imposta per il decommissioning.
Non si tratta naturalmente di fiscalizzare la bonifica dei siti inquinati in deroga al principio per cui chi inquina paga, né di intervenire in quelle attività dove l’uso sconsiderato della risorsa suolo abbia favorito il dissesto idrogeologico. Si tratta invece di offrire una strategia di uscita per coloro che negli anni 80 hanno costruito capannoni a più non posso e che ora se li ritrovano vuoti e senza speranza di riutilizzarli o affittarli.
Il credito di imposta , pluriennale per forza di cose, avrebbe il pregio di incentivare progetti pluriennali di recupero evitando nel frattempo il proliferare di strutture fatiscenti destinate a diventare rifugio per disperati.
Il sistema in discorso avrebbe altresì il pregio di imporre una moratoria ai progetti di nuovi insediamenti a forte consumo di suolo e di accelerare progetti di conversione mediante l’istituto della cessione del credito limitata ai soggetti finanziatori.
Possibile ? si può provare.