Nella tarda serata del 6 luglio a Roma, all’età di 97 anni è mancato Arnaldo Forlani leader autorevole ed uno dei massimi esponenti della Democrazia Cristiana. Nella sua lunga e prestigiosa carriera politica è stato presidente e vicepresidente del Consiglio dei ministri, ministro degli Affari esteri, ministro della Difesa e delle Partecipazioni statali. E per pochi voti, mancato presidente della Repubblica.
Nato a Pesaro nel 1925, inizia la sua militanza nel partito ancora ventenne e nel 1955 diventa direttore della sezione Studi, Propaganda e Stampa (Spes). Tre anni più tardi entra alla Camera dei Deputati come esponente di punta della corrente di Amintore Fanfani, nel 1962 viene eletto vicesegretario nazionale della Dc. Nel 1968 diventa ministro per la prima volta assumendo la guida del dicastero delle Partecipazioni statali, ma è il 1969 l’anno della svolta. A San Genesio stipula il patto con Ciriaco De Mita un patto per prendere in mano le redini del partito e dar vita a una “rottamazione” ante litteram. I due vengono soprannominati “i gemelli di San Genesio” ma il loro patto dà i suoi frutti: quello stesso anno Forlani viene eletto segretario e De Mita assume la carica di suo vice.
Nel 1970 si svolgono per la prima volta le elezioni Regionali in cui la Democrazia Cristiana ottiene il 37% dei voti a livello nazionale, superando di dieci punti il Pci e diventando il primo partito in tutte le Regione ad eccezione dell’Emilia Romagna, la Toscana e l’Umbria.
Nonostante i buoni risultati nelle urne, l’anno successivo Forlani non riesce a far eleggere Amintore Fanfani presidente della Repubblica. L’anno seguente Fanfani prende il suo posto nel partito e rilancia il centrosinistra con Mariano Rumor a capo del governo.
Al Congresso del 1976 Forlani cerca di riprendersi la segreteria del partito in rappresentanza del blocco moderato e contrario all’alleanza col Pci ma viene sconfitto, per pochi voti, da Beniamino Zaccagnini, rappresentante dell’ala sinistra della Dc. Nonostante l’iperattivismo politico, era noto per la sua pigrizia tanto che egli stesso una volta disse: “Il lavoro mi affascina, potrei guardarlo per ore”, ma era indubbiamente capace.
Nel 1976 Forlani viene nominato ministro degli Esteri e nel 1980, a seguito della vittoria dell’ala moderata di Flaminio Piccoli al Congresso, diventa primo ministro. Durante il suo governo Papa Giovanni Paolo II subisce l’attentato per opera di Alì Agca, mentre la Dc perde il referendum sull’aborto e Forlani è costretto alle dimissioni dopo che scoppia lo scandalo della loggia P2 perché si scopre che alcuni suoi ministri ne fanno parte.
Il 1982 segna un’altra sconfitta congressuale per Forlani che si vede mancare l’appoggio di Fanfani, sostenitore del vincitore Ciriaco De Mita.
Sono gli anni dell’ascesa del Psi di Bettino Craxi come premier, di cui Forlani è vicepresidente mentre, sul fronte interno, si fa promotore di una nuova corrente democristiana di stampo centrista, Alleanza Popolare”.
Nel 1989 si celebra il XVIII Congresso della Dc all’ultimo che vede l’elezione di Forlani a segretario con l’85% dei voti. Alle elezioni europee dello stesso anno la DC ottiene il 32,9%, riconquistando il primato perso nel 1984 e, di lì a poco, nasce il Caf,l’alleanza politica tra Craxi, Andreotti e lo stesso Forlani, tesa a blindare la maggioranza del pentapartito e fortificare i rapporti con il Psi.
Un tentativo che si scontra con il complesso panorama politico contrassegnato dal crollo del muro di Berlino, dai primi successi della Lega Lombarda, dai referendum di Mario Segni per modificare la legge elettorale.
La fine della Prima Repubblica è vicina e Tangentopoli è alle porte. Forlani, alla fine del 1991, indìce a Milano la Conferenza nazionale programmatica della DC nella quale avverte che il sistema sta franando e individua possibili soluzioni per scongiurare la crisi. Propone l’introduzione della sfiducia costruttiva e una riforma della legge elettorale proporzionale che preveda un ‘correttivo maggioritario’.
Nel corso del suo discorso rivendica con orgoglio la storia gloriosa del partito: “Non saremo noi – dice – a ripiegare la bandiera della Dc. La bandiera di Luigi Sturzo, di Alcide De Gasperi, di Aldo Moro. Come l’abbiamo ricevuta da loro, così noi la trasmettiamo ai giovani. Non abbiamo da cambiare i nostri simboli né da rinnegare la nostra storia. Non per orgoglio di partito, retorico o male inteso, ma perché con la Dc l’Italia è stata salvata. Con la Dc l’Italia è cresciuta, con la Dc difenderemo ancora l’unità della nazione e la sua libertà”.
L’anno seguente ha inizio l’inchiesta Mani Pulite e, alle elezioni politiche del 5 aprile, la Dc perde il 5% ma la più grande sconfitta personale per Forlani arriva in maggio, in occasione del voto per il Quirinale. In quei giorni dice: “Se non vengo eletto presidente sarà la fine della Prima Repubblica”. Una frase premonitrice che prelude al suo ritiro nella corsa per il Quirinale che termina il 16 maggio, al sesto scrutinio, quando gli mancavano solo 29 voti per essere eletto
. La sua carriera politica termina con l’inizio del processo Enimont che lo vede imputato e per il quale venne condannato a 2 anni e 4 mesi di carcere per finanziamento illecito. Pena scontata con l’affidamento in prova al servizio sociale ed espiata collaborando con la Caritas di Roma. “Bettino andò ad Hammamet. Ognuno ha il suo carattere. Non tutti hanno la vocazione socratica a bere la cicuta anche sapendo di essere stati condannati ingiustamente”, dirà in seguito Forlani che, in un’altra occasione ammetterà che su Tangentopoli “Non abbiamo reagito come avremmo dovuto. Avevamo un complesso di soggezione nei confronti della magistratura e della giustizia. Nonostante la storia dei cristiani fosse partita da un processo e da una sentenza di morte che ha tagliato in due la storia”.
Di quel periodo gli italiani ricordano soprattutto l’interrogatorio in cui l’allora pm Antonio Di Pietro lo incalza con domande continue per farlo cadere in contraddizione e lui balbetta, suda e si difende.
In virtù della fede radicata e profonda riuscirà a sopportare il “metodo Di Pietro”, mentre altri politici e imprenditori passati attraverso quest’esperienzafinirono suicidi.
E’ troppo presto per trarre giudizi storici. Certamente se un personaggio con la lungimiranza e moderazione di Forlani fosse rimasto a capo della DC e del governo, le vicende politiche del nostro paese avrebbe presentato risvolti differenti e non di certo negativi.
Con il senno di poi..