Ci siamo soffermati dinanzi a un’edicola dei giornali ed abbiamo osservato il livello delle riviste patinate a grande tiratura esposte. Quali insegnamenti ne potrebbero trarre i lettori?
Abbiamo raggiunto l’apice dell’insipienza, tra gossip ostinato e volgarità di ancora più modesta levatura, violentemente ostentate. Forse stiamo vivendo il risvolto più deplorevole di una comunicazione complice e cinica. “Ruminate nell’insipienza, crogiolandovi nel letame, senza disturbare il manovratore” pare il motivo dominante. I titoli delle pubblicazioni non dicono molto perché oggi tutto è volatile, liquido e la vita media di mediocri riviste sfugge alla memoria dei più. Il fatto mi ha riportato alla memoria un ricordo diametralmente opposto, spero condiviso da qualche lettore.
Mi riferisco a l’’Illustrazione Italiana. Quella rivista che uscì, seppur con periodicità differente dal 1873 al 1963. L’ho conosciuta e consultata perchè in alcune famiglie e biblioteche, si conservavano gli annali, elegantemente rilegati. Annali sfogliati in più occasioni per curiosità, o anche per attingere particolari inediti, per approfondire pubblicazioni ed affrontare, con maggior erudizione, interrogazioni scolastiche.
L’Illustrazione Italiana, fu, durante tutta la sua vita, un settimanale che presentava la quotidianità mettendo in risalto i fatti principali e, soprattutto, le persone più illustri. Un teatro della realtà e una vetrina per VIP, si potrebbe dire.
La cosa si spiega facilmente. In un’epoca priva di comunicazione visiva, in cui prevaleva quella scritta, le immagini disegnate (lo stesso successe quando al disegno si sostituì la fotografia) avevano un potere d’attrazione unico.
I personaggi poi, erano ideali per attirare l’attenzione. I volti, gli atteggiamenti, i particolari, si trattasse di protagonisti di eventi politici o mondani, festosi o drammatici, rendevano viva la cronaca, eccitando la curiosità dei lettori con l’eterno desiderio di identificazione nei modelli proposti. Uno straordinario archivio iconografico è, perciò, la raccolta dell’Illustrazione.
Una storia figurata che fa scoprire con stupore, e grande interesse, i ritratti dei reali e dei politici, il fascino di un ballo a corte, l’eccidio di Dogali in Africa, quello di Bava Beccaris a Milano, l’assassinio di Umberto I a Monza, i funerali di Verdi, i terremoti di Reggio e Messina, la famosa scalinata di Odessa della prima rivoluzione russa, la guerra di Libia, gli scioperi proletari, lo scoppio della prima guerra mondiale, per fermarsi ai primi quarant’anni della rivista.
Ancora oggi le immagini, in particolare quelle della fase iniziale hanno un’attrazione notevolissima.
Gli illustratori (guidati dal condirettore artistico Edoardo Ximenes) erano abilissimi a drammatizzare i più diversi soggetti: le pagine, singole o doppie, facevano entrare il lettore nell’atmosfera del fatto assai più di quanto farà la fotografia, quando questa subentrerà ai dipinti.
Dal punto di vista tecnico poi, la natura dei disegni (xilografie su legno) li rendeva delle vere e proprie stampe originali, si può immaginare quanto ambite dai collezionisti. La scelta proposta sottolinea quanto gli eventi luttuosi fossero, fin d’allora, prevalenti.
Gli avvenimenti aiutavano, ma era già ben presente il potere d’attrazione del disastro o delitto rispetto all’opera meritoria.
L’interno dei fascicoli però, permetteva di ristabilire un equilibrio accettabile tra negativo e positivo.
I testi, nel commentare le immagini attenuavano il pessimismo, perchè non andava mai perso di vista il fine ultimo del giornale: informare, condizionando la società ad accettare la situazione esistente. Poche polemiche e nessuna rivoluzione. Nella parte redazionale, gli scritti erano tutti complementari alla cronaca, sia sotto forma di reportages, che resoconti di vita vissuta e perfino di moralità , anche se non leggendarie e non necessariamente morali.
La letteratura era presente con racconti, pubblicati a puntate (novelle del giovane Pirandello, Panzacchi, Anton Giulio Barrili, Vamba), qualche raro romanzo minore, pochissima poesia.
I giornalisti erano tipicamente giornalisti/scrittori: su tutti Edmondo De Amicis e Ugo Ojetti.
Si scriveva di Manzoni, Carducci, Pascoli, ma non si pubblicavano opere loro. Il feuilleton alla francese non era tipico della testata.
Gabriele D’Annunzio, ventenne nel 1883 non aveva critica favorevole sulla rivista, col tempo però (poco, cinque anni) Treves gli pubblicherà in libro Il Piacere e l’Illustrazione cambierà parere.
Per tornare a De Amicis e Ojetti.
Il primo fu continuamente presente con articoli di viaggio e di memoria; nel 1886, a quarant’anni, fece uscire da Treves il libro che gli diede fama e successo: Cuore. L’Illustrazione ne scrisse, riportò giudizi, ma non pubblicò anticipazioni o estratti.
Ojetti invece, aveva una rubrica fissa, Accanto alla vita, firmava Conte Ottavio e, per anni, commentò fatti e personaggi creando un genere che perseguì sempre, di libro in libro (esempio più noto Cose Viste, titolo preso da Victor Hugo).
Le rubriche di ‘vita vissuta’ d’altra parte, furono una tradizione all‘Illustrazione.
Oltre De Amicis e Ojetti si possono citare Alfredo Comandini (Spectator), il suo successore Renato Simoni (Il Nobilomo Vidal), e ancora, Sabatino Lopez (La Settimana).
Dalla prima guerra mondiale al dopoguerra della seconda ci fu un intervallo di trent’anni, i più duri e rivoluzionari del ‘900.
L’Illustrazione Italiana li visse subendo inevitabili contraccolpi, ma resistendo ai cambi di gestione, agli sconvolgimenti politici e, in particolare, a una concorrenza sempre più presente. La guerra del ’15-’18 fu il tema dominante dell’inizio di quel periodo.
Per la prima volta l’Italia si metteva alla prova in un contesto mondiale. L’alternarsi delle fasi del conflitto, le opinioni pro e contro la gestione militare, la difesa nei confronti della sconfitta di Caporetto, e poi l’esplosione della retorica con la vittoria, furono argomenti che tennero ancorati i lettori.
Nel 1916, un lutto privato provocò il primo cambio nella direzione della testata: morì Emilio Treves.
Guido Treves ereditò la guida del giornale, la terrà per 16 anni fino al 1932.
La sequenza degli avvenimenti post grande-guerra fu tumultuosa: rivoluzione russa nel 1917; la pace nel 1918; crisi post belliche; fondazione del PCI nel 1921; marcia su Roma nel 1922; Mussolini al governo nel 1924; conciliazione con il Vaticano nel 1929; Hitler cancelliere e primo legame con il Duce nel 1934; la guerra di Spagna nel 1936; leggi razziali nel 1938; scoppio della seconda guerra mondiale nel 1939.
L’identità del settimanale non mutò sostanzialmente in quegli anni.
Il pubblico era sempre la classe medio alta della nazione; la rivista entrava nelle case ogni settimana e, oltre all’informazione, aveva una funzione quasi estetica, rassicurante.
La veste grafica, lo stile di comunicazione si rapportava ai salotti buoni, ai pavimenti di parquet, ai quadri e libri tradizionali, l’avanguardia, la rottura degli schemi, non erano argomenti per l’Illustrazione.
I fascicoli venivano rilegati nel loro formato in folio, riposti ed esibiti in file di volumi bene allineati.
Essere abbonati all’Illustrazione Italiana era una conferma di classe: borghese, mediamente colta, perbene.
La concorrenza però era forte, perchè nel campo delle riviste lo sviluppo era, da tempo, notevole.
A un livello più basso era nata e prosperava la Domenica del Corriere, altra novantenne (1899-1989). Le sue tavole di copertina, di Beltrame o Molino, erano popolarissime e d’effetto. C’era chi le conservava appese alle pareti (c’è chi lo fa tuttora).
Nei primi anni del ‘900 erano apparse Lacerba (1913-1915) e La Voce (1908-1916) che spinsero e furono spinte dal Futurismo.
Negli anni ’30 nacquero le testate di Longanesi, l’Italiano (1926-1942), Omnibus (1937-1939), il primo Oggi di Pannunzio e Benedetti (1939-1942).
Erano innovative, violente nello stile, formati grandi, fotografie d’impatto negli scatti e nei tagli, il tono degli articoli sempre di denuncia e provocazione.
La guerra, la seconda, tenne banco dal ’39 al ’45. Con minore slancio però, rispetto alla prima. Anzi, man mano che gli avvenimenti precipitavano era necessario mascherare gli insuccessi, evitare critiche, pur senza dare troppe false speranze.
Nell’agosto del 1943, in uno dei più forti bombardamenti su Milano, la sede dell’Illustrazione in via Palermo fu colpita e distrutta.
Andarono perduti gli archivi, i documenti originali, testimonianze irrecuperabili di settant’anni di lavoro.
La rivista era, dal 1939, di Aldo Garzanti, industriale prima, poi editore.
Il colpo fu molto duro, ma non l’unico di quell’anno. La caduta del fascismo, il 25 luglio, portò alla Repubblica Sociale di Salò. Tutta la vita pubblica ne risentì, in particolare la stampa.
L‘Illustrazione venne ‘commissariata’ e solo nel ’45 Garzanti riprese la gestione. Dal 1945 in poi furono gli anni della ricostruzione, del referendum Monarchia Repubblica, della Costituente, delle elezioni del 1948, del voto alle donne.
Cominciava a cambiare il mondo. A ben vedere era già cambiato anche se si cercava di non rilevarlo troppo.
Nel campo editoriale i periodici evolsero. Oggi di Rizzoli (1945), Il Mondo di Pannunzio (1949-1966), L’Europeo (1945) e in seguito L’Espresso (1955) e Panorama (1962) man mano si impadronirono della comunicazione scritta e fotografica. La pubblicità prese a correre su pubblicazioni popolari, femminili quali Grazia (1938), Annabella (1941), Amica (1970).
L’Illustrazione resistette come settimanale fino al 1951. Quell’anno fu comunicato il passaggio a mensile.
Con la frequenza cambiò anche la natura della rivista, gli ultimi undici anni vedranno contenuti e forme diverse.
Dalla cronaca all’analisi si potrebbe sintetizzare l’evoluzione della testata, basta scorrere i titoli di un qualsiasi indice del mese per rendersene conto: vita politica, giro del mondo, documenti del tempo, vita contemporanea, teatro, il nostro racconto.
Gli estensori erano tutti qualificati, gli argomenti più che di giornalismo erano di saggistica, sapienti, ragionati e, ovviamente, ragionevoli. L’Illustrazione non poteva più essere lo specchio quotidiano dei tempi. Ma poteva interpretarli, diventare voce educata e colta che spiegasse i ‘perchè’ delle cose, senza esagerare beninteso, e senza turbare.
Anche la grafica confermava il cambiamento. L’Impaginazione a colonne verticali, fotografie tagliate in modo geometrico, nessuna invasione delle immagini nei testi, carta patinata con inserti di carta a mano color tenero.
Si aiutava una lettura non agitata, quasi un antidoto alle continue sollecitazioni che l’attualità portava ogni giorno.
Molto utile per cogliere la nuova natura del periodico è l’esame delle collaborazioni dei maggiori autori italiani dell’epoca.
Da Carlo Levi a Giovanni Ansaldo, da Curzio Malaparte a Mario Soldati, a Emilio Cecchi, Alberto Moravia, Eugenio Montale, Giorgio Manganelli.
Scrivevano tutti di critica, mai inserivano opere loro di narrativa o poesia. Come sempre, unica eccezione erano i racconti brevi, a fine numero.
Una chicca bibliografica è ricordare che Dino Buzzati pubblicò sul numero di maggio 1958 Sola in fuga, suo pezzo teatrale, scritto per e interpretato da Paola Borboni in quello stesso anno.
Nel dicembre 1962 l’ Illustrazione Italiana, vecchia signora, se ne andò, in punta di piedi, senza proclami, solo un freddo saluto dell’Editore.
Il sommario del mese portava un articolo di Pietrino Bianchi sul cinema giapponese, un profilo di Roberto Longhi scritto da Attilio Bertolucci, il ritratto in morte della signora Roosvelt di Furio Colombo e, di Anna Maria Ortese, il racconto Di passaggio.
Fosse stato pensato come commiato, così da unire la raffinatezza della scrittura alla mestizia del contenuto, il racconto della Ortese sarebbe stato perfetto.
Chissà se Livio Garzanti e Gaetano Tumiati, direttori del numero 12 dell’ottantanovesimo anno della rivista, se ne resero conto.
Era finita un’epoca gloriosa, anche se con un po’ di crepuscolare tristezza.